Vinci al toto? Fatte 'na radioo! [01?]
Franco si chiamava, un metro e sessantacinque, nero e baffi neri. “Ma non sei tu quello che fa una tripla e tre doppie?”, inquisì verso di me. Io, col volto ingenuo nel senso italiano (d’oggi) e non in quello inglese, feci come Banfi, agitando da sinistra a destra guanciotti che non avevo.
Einvecesì! Una tripla e tre doppie, ergo un tredici e dodici dodici e centotrentuno undici o giuddillì, al cambio novecentomila cucuzze e rotti! All’epoca uno stipendio di categoria B stazionava a ridosso delle seicentomila, insomma un bendiddio nel quale scegliere:
- numero TRE mignottoni afgani, rimediati dar “tazzina”, che il puttantùr al confronto è gnenteee;
- numero DUE settimane di vacanza studio e lavoro in Inghilterra, vicino Londra (122 km con treno a binario unico);
- numero UNA… radiolibbera!
Inseguito dai ricordi di Onan il (ra)barbaro e dar “tazzina”, che si chiamava così perché ci aveva la crapa pelata e una recchia sola, la scelta era una sola: laradiooo!
Sì, perché le altre storie di radiolibera che avevamo fatto c’erano andate di traverso, e quindi quale sogno migliore di questo? Signori, altro che emmeppitré e chat: IO sarei stato l’Arai, l’Abbibbissì!
Stavolta i soldi c’erano e le apparecchiature sarebbero state professionali. C’era l’ingegner taldeitali (che poi me lo ricordo): subbito da da lui!
Epperò quando ancora non avevamo diciott’anni noi chi c’era mai stato a Capannelle? Era un viaggio senza Google Maps, col tuttocittà ancora con i quartieri in risoluzioni diverse per cui chiddìo lo sa quanto è lontana ‘sta cosa? E arrivavi lì, in campagna, con l’ingegnere che lavorava a casa sua tra le vacche, ti guardava e ti salutava “Ciao, Franco!” e tu sincero magari sì, ma Franco proprio non eri.
Comunque questo -che non mi ricordo come si chiamasse- ci vendette il “lineare”, un cassettone bellissimo con frontale in alluminio anodizzato che da solo costava quanto tutti gli autocostruiti che m’ero fatto a mano che giammai avevano funzionato (essì, l’alta frequenza era un’altra cosa!).
Da qualche parte sta ancora lì, nel box in terrazza, col suo monocolo (il wattmetro) che mi guarda come Polifemo guardava Ulisse, ululando nel dolore che Nessuno (eeeccomi!) l’ha accecato…
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